Le Alleanze di Dio con il suo popolo

Di Paul R. Williamson, tratto da NIV Biblical Theology Study Bible, pp. 2334-2336.


L’alleanza è una delle idee teologiche più importanti della teologia biblica.  Questo è evidente dalle classica nomenclatura Antico e Nuovo Testamento, o per meglio dire Antica Alleanza e Nuova Alleanza.
Il concetto emerge in punti significativi della storia della Bibbia ed è il collante teologico che lega la promessa al compimento. Quindi la storia biblica della salvezza e lo sviluppo delle alleanze di Dio sono quasi sinonimi.
Sebbene la Bibbia non menzioni esplicitamente un’alleanza fino a Gen 6,18 (quando Dio annuncia di voler stabilire un’alleanza con Noè), molti ritengono che Dio abbia stretto un’alleanza con Adamo (cfr. Os 6,7). Si riferiscono a questa alleanza con Adamo come “alleanza di opere” o “alleanza con la creazione”. Altri, invece, pur non negando che Dio avesse una relazione con Adamo che comportava obblighi reciproci, la distinguono da un’alleanza, che comporta ulteriori elementi formalizzanti come un giuramento e/o una promessa.
[I battisti riformati sottoscrivono l’alleanza di opere di Dio con Adamo in Eden e la seguente promessa del Vangelo in Genesi 3:15 come prima manifestazione nella storia dell’alleanza di Grazia (protovangelo), nota di Manuel Morelli].
Intendendo l’alleanza in senso più formale, la prima alleanza divino-umana è quella che Dio stabilì ai tempi di Noè (cfr. Is 54,9). Tale alleanza afferma l’impegno di Dio nei confronti della creazione dopo il diluvio.
Tuttavia, mentre il concetto di alleanza può comparire solo dopo il diluvio, le principali alleanze divino-umane (Noaitica, Abrahamica, Mosaica, Davidica e la nuova alleanza di Cristo) sostengono e portano avanti l’obiettivo creativo (e redentivo) di Dio. Ogni alleanza fornisce un’ulteriore garanzia divina che Dio realizzerà il suo scopo per la creazione in generale e per l’umanità in particolare, stabilendo pienamente il suo regno sulla terra.

L’ALLEANZA UNIVERSALE (CON NOÈ E TUTTA LA CREAZIONE)

Mentre Dio annuncia la sua alleanza con Noè e tutta la creazione prima del diluvio (Gen 6,18), la stabilisce dopo che il diluvio si è placato (Gen 8,20-9,17). La prima menzione di questa alleanza sottolinea semplicemente il progetto di Dio di conservare Noè e gli altri nell’arca (Gen 6,18). L’alleanza di Dio con Noè riafferma il suo intento creatore originario che il diluvio aveva “sconvolto”. Quindi promette solennemente che una sospensione dell’ordine naturale non interromperà mai più (Gen 8,21-22; 9,11-15) il compimento del mandato creazionale dell’umanità (cfr. Gen 1,26-30; 9,1-7). Inoltre, i comandamenti aggiuntivi (Gen 9,4-6) sottolineano il valore della vita umana in particolare, il che evidenzia ulteriormente la logica primaria di questa alleanza: preservare la vita sulla terra senza ulteriori interruzioni divine. Dalla portata di questa alleanza è implicito che l’obiettivo redentivo di Dio comprenderà alla fine l’intera creazione. L’enfasi globale di Gen 1-11 non si perde nei capitoli successivi della Genesi e oltre, nonostante la loro focalizzazione più ristretta.

L’ALLEANZA ABRAHAMICA

Le promesse contenute nelle alleanze patriarcali (quelle che Dio stabilì con Abrahamo, Isacco e Giacobbe) sono registrate in Gen 12,1-3. L’essenza di queste promesse divine è che Dio avrebbe benedetto Abrahamo in due modi: (1) Dio lo avrebbe trasformato in una grande nazione, rendendo così grande il suo nome, e (2) attraverso di lui Dio avrebbe mediato la benedizione ad altri (cioè a tutti i popoli della terra). Significativamente, ciascuno di questi due aspetti è successivamente ratificato da un’alleanza: (1) la dimensione nazionale della promessa di Dio è al centro di Gen 15, dove Dio stabilisce (o “taglia”) “un’alleanza con Abrahamo (Gen 15,18); (2) la dimensione internazionale della promessa è apparentemente ignorata in Gen 15, ma è considerata in Gen 17 (cfr. vv. 4-6,16). vv. 4-6,16), dove Dio annuncia una “alleanza eterna” (Gen 17,7), la cosiddetta “alleanza della circoncisione” (At 7,8).
Sebbene molti ritengano che quest’ultima semplicemente elabori o rafforzi l’alleanza già stabilita in Gen 15, le diverse circostanze e sottolineature suggeriscono almeno che si tratta di una seconda tappa significativa nella storia dell’alleanza di Dio con Abrahamo.
In effetti, se Gen 17 viene letto insieme a Gen 22 (vedi sotto), questi capitoli presentano probabilmente una seconda alleanza, distinta ma correlata a quella precedente stabilita in Gen 15.
La prima di queste alleanze (Gen 15) ratificava formalmente la promessa di Dio di fare di Abrahamo una “grande nazione” (Gen 12,2), quindi l’attenzione principale è rivolta al modo in cui Dio realizzerà il suo obiettivo creazionale nella “discendenza” biologica di Abrahamo, successivamente identificata come i figli di Giacobbe (Israele).
Questa, tuttavia, era solo la fase preliminare del piano di redenzione di Dio. La seconda fase riguarda il modo in cui Abrahamo, attraverso la grande nazione da lui discendente, avrebbe mediato la benedizione a “tutti i popoli della terra” (Gen 12,3). Questo sembra essere il punto focale in Gen 17 e 22.
Anche se la promessa della nazione non è del tutto assente in Gen 17 , l’accento è posto sulle “nazioni”, sui “re” e su una relazione divino-umana perpetua con la discendenza di Abrahamo (Gen 17:4 – 8,16 – 21). Significativamente, un’attenzione particolare è posta su Isacco (Gen 17,21; cfr. Gen 21,12) come colui attraverso il quale questa alleanza sarà perpetuata, mettendo in evidenza la posta in gioco nella prova divina di Gen 22. Lì l’obbedienza di Abrahamo e la sua capacità di obbedire a questa alleanza si sono rivelate un’occasione di grande successo.
Lì la fede obbediente di Abramo (Gen 22,16b,1Sb) ha soddisfatto le richieste di Gen 17,1 (cfr. Gen 18,19; 26,5), spingendo così Dio a ratificare le promesse di Gen 17 (cfr. Gen 22,17-18a; 26,4) con un giuramento solenne (Gen 22,16a; cfr. 26,3).
Così intesa, tra Dio e Abramo furono stabilite due alleanze distinte. La prima (Gen 15) garantiva la promessa di Dio di fare di Abramo una “grande nazione”. La seconda (anticipata in Gen 17 e ratificata con giuramento divino in Gen 22) affermava la promessa di benedire tutte le nazioni attraverso Abrahamo e la sua “discendenza”.

L’ALLEANZA MOSAICA-SINAITICA

Dio stabilì l’Alleanza mosaica subito dopo che si era verificato uno sviluppo significativo anticipato in Gen 15: la liberazione dei discendenti di Abrahamo dall’oppressione in terra straniera (cfr. Gen 15, 13-14. Esodo 19, 4-6; 20, 2; Esodo 19,4-6; 20,2). Al Sinai l’attenzione non si concentra tanto su ciò che i discendenti di Abrahamo devono fare per ereditare la terra, quanto sul modo in cui devono comportarsi all’interno della terra come la nazione unica che Dio ha voluto che fossero. Per essere il “bene prezioso”, il “regno dei sacerdoti” e la “nazione santa” di Dio (Esodo 19,5-6), Israele deve rispettare l’alleanza del Signore sottomettendosi ai suoi requisiti (cioè le clausole stabilite in Esodo 20-23). Aderendo a questi e ai successivi obblighi di alleanza dati al Sinai, Israele sarebbe stato diverso dalle altre nazioni e avrebbe così riflesso verso i popoli circostanti la saggezza e la grandezza di Dio (cfr. Dt 4,6-8).
In questo modo, i discendenti di Abrahamo non solo avrebbero seguito le orme del loro antenato (cfr. Gen 26,5), ma avrebbero anche portato al compimento delle promesse di Dio (Gen 18,19). Così, come Abrahamo, anche Israele deve “camminare davanti a Dio con fedeltà ed essere irreprensibile” (Gn 17:1). In caso contrario, verrebbe meno la ragione stessa dell’esistenza di Israele, una lezione che l’episodio del vitello d’oro illustra in modo così esplicito (Esodo 32-34).
Anche se Dio ristabilì l’alleanza (Esodo 34), questo fu un atto di grazia piuttosto che di giustizia (Esodo 34:6-7). Inoltre, riproponendo gli stessi obblighi dell’alleanza alla fine di questo episodio, Dio dimostrò che la responsabilità di Israele non era cambiata.
Israele doveva obbedire a Dio per realizzare lo scopo per cui li aveva liberati dall’Egitto e poi dato loro la terra promessa: dovevano essere il suo regno di sacerdoti e la sua nazione santa. Riflettendo la santità di Dio (Lv 19,2), Israele avrebbe dato prova di una vera teocrazia e sarebbe servito da testimone di Dio ad un mondo che lo guardava. Inoltre, poiché la ribellione umana minacciava di compromettere l’obiettivo finale di Dio (cioè la benedizione di tutte le nazioni attraverso la “discendenza” di Abrahamo), l’alleanza mosaica comprendeva anche i mezzi attraverso i quali il rapporto divino-umano tra Yahweh e Israele poteva essere mantenuto: il culto sacrificale, in particolare nel giorno dell’espiazione (Lev 16), avrebbe espiato ritualmente il peccato di Israele ed espresso simbolicamente il perdono di Dio. Pertanto, come l’alleanza di Noè garantiva la conservazione della vita umana sulla terra, così l’alleanza mosaica garantiva la conservazione di Israele, la grande nazione di Abrahamo, nella terra. Questa era cruciale per la fase successiva dell’adempimento delle promesse di Dio: stabilire una linea regale attraverso la quale sarebbe giunto il “seme” finale di Abrahamo e l’erede definitivo dell’alleanza (cfr. Gal 3,16).

L’ALLEANZA DAVIDICA

Dopo il Sinai, il successivo importante sviluppo dell’alleanza avviene con il messaggio di Natan a Davide (2 Sam 7; 1 Cr 17). Davide intende costruire una “casa” (cioè un tempio) per Dio, ma Dio promette di costruire una “casa” (cioè una dinastia) per Davide. Né in 2 Sam 7 né in 1 Cr 17 la promessa di Dio è descritta esplicitamente come “alleanza”, ma molti altri testi lo fanno (cfr. 2 Sam 23,5; 2 Cr 7,18; 13,5; Sal 89,3; Ger 33,21).
L’alleanza davidica prosegue la traiettoria dell’alleanza mosaica e di quella abrahamica. I piani di Dio per Davide e Israele sono chiaramente intrecciati (cfr. 2 Sam 7,8-11, 23-26). Inoltre, significativi parallelismi collegano Davide ad Abrahamo:
– Dio promette ad entrambi un grande nome (Gen 12,2; 2 Sam 7:9);
– In futuro entrambi conquisteranno i loro nemici (Gen 22,17; 2 Sam 7,11; cfr. Sal 89,23);
– Entrambi hanno una speciale relazione divino-umana (Gen 17,7-8; 2 Sam 7,24; cfr. Sal 89,26);
– Una linea speciale di “discendenza” farà proseguire i nomi di entrambi (Gen 21,12; 2 Sam 7,12-16);
– I discendenti di entrambi devono osservare le leggi di Dio (Gen 18,19; 2 Sam 7,14; cfr. Sal 89,30-32; 132,12);
– La discendenza di entrambi avrebbe mediato la benedizione internazionale (Gen 22,18; Sal 72,17).
L’alleanza davidica identifica quindi in modo più preciso la discendenza della “progenie” che medierà la benedizione alle nazioni: sarà un discendente reale di Abrahamo attraverso Davide.
Questo patto introduce quindi un sottile ma significativo spostamento di attenzione. Con la grande nazione promessa ad Abrahamo ormai saldamente stabilita (2 Sam 7:1), l’attenzione si concentra sulla sua progenie regale (cfr. Gn 17:6,16). Questa linea regale, già tracciata esplicitamente nella Genesi (cfr. Gen 35,11; 49,10; cfr. anche Gen 38; Ruth 4:18-22), culmina in una “progenie” individuale e conquistatrice che realizza la promessa di Gen 22,18 e la speranza espressa nel Sal 72,17.

LA NUOVA ALLEANZA

Il persistente fallimento nel vivere secondo i requisiti dell’alleanza di Dio portò ad un inevitabile disastro sia per la nazione che per la sua monarchia, che culminò nel giudizio: la distruzione del tempio e l’esilio babilonese. Questo avrebbe potuto segnare la fine se i piani di Dio per Israele non fossero stati cruciali per l’adempimento delle sue promesse di alleanza.
L’esilio della nazione e la fine della monarchia dovevano essere superati per realizzare il piano creazionale di Dio. La storia dell’alleanza continua quindi attraverso la prospettiva di una “nuova alleanza”, che sarebbe stata al tempo stesso in continuità e in discontinuità con quelle del passato.
Sebbene si parli esplicitamente di “nuova alleanza” solo una volta nell’AT (Ger 31,31), diversi passi, sia in Geremia che altrove, vi alludono. In Isaia questa alleanza eterna di pace è strettamente associata alla figura del servo (Is 42,6; 49,8; 54,10; 61,8). È inclusiva in quanto incorpora anche gli stranieri e gli eunuchi (Is 56,3), ma anche esclusiva in quanto è limitata a coloro che “si attengono” ai suoi obblighi (Is 56,5-6; cfr. 56,1-2).
Sebbene Geremia ed Ezechiele usino una terminologia diversa per descriverla, entrambi prevedono un cambiamento fondamentale nella comunità dell’alleanza: Geremia parla di interiorizzazione della Torah (Ger 31,33), mentre Ezechiele parla di chirurgia spirituale e di trasformazione radicale (Ez 36,26-27). Per entrambi i profeti, questo rinnovamento interiore sfocerebbe nella relazione divino-umana ideale, che questa e le precedenti alleanze esprimono nei termini della formula di alleanza “Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”. In questa nuova alleanza, tutte le speranze e le aspettative delle alleanze precedenti raggiungeranno il loro compimento e la loro espressione escatologica. (Non sorprende, quindi, che il Nuovo Testamento/Alleanza dichiari che tutte le promesse dell’alleanza di Dio si realizzano in Gesù e attraverso Gesù (cfr. Luca 1:54-55,69-75; 2 Cor 1:20), il Messia davidico tanto atteso (Mt 1:17-18; 2:4-6; 16:16; 21:9; Lc 2:11; Giovanni 7:42 Atti 2:22-36). In quanto discendenza definitiva di Abrahamo (Mt 1,1; Gal 3,16) e discendenza reale di Davide (Mt 1,1; Lc 1,27.32-33; 2,4; Rm 1,3; 2Tim 2,8; Ap 5:5; 22:16), Gesù svolge anche il ruolo di servo di Isaia (At 3:18; 4:27-28; 8:32-35), non solo per redimere Israele (Lc 2:38; At 3:25-26; Ebr 9:12,15), ma anche per mediare la benedizione di Dio ad una comunità internazionale di fede (At 10:1 – 11:18; At 15:1 – 29; Rm 1:2 – 6; 3:22 – 24; 4:16 – 18; 15:8 – 12; Gal 3:7-14,29).
Secondo i Vangeli e le lettere del NT, la nuova alleanza è stata ratificata attraverso la morte sacrificale di Gesù sulla croce (cfr. Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20; 1 Cor 11,25). Nella Cena inaugurale del Signore, Gesù allude sia al perdono collegato da Geremia alla nuova alleanza (Mt 26,28; cfr. Ger 31,34) sia al sangue associato all’istituzione dell’antica alleanza (cioè quella mosaica) (Lc 22,20; cfr. Esodo 24,8).
Di conseguenza, il NT enfatizza il perdono dei peccati, pienamente ottenibile solo con la nuova alleanza (At 13,39; cfr. Eb 10,4), come beneficio primario della morte di Gesù (ad esempio, Lc 1,77; 24,46-47; At 2,38; At 10,43; 13,38; At 2,38; 10:43; 13:38; 26:18; Rm 3:24 – 25; Ef 1:7; Col 1:14; Eb 9:12,28; 1 Giovanni 1:7; Ap 1:5; 7:14; 12:10-11).
Sia secondo Paolo che secondo lo scrittore di Ebrei, la nuova alleanza è di gran lunga superiore all’antica (cioè l’alleanza mosaica). Ciò è già implicito nell’uso dell’aggettivo “nuova” in 1 Cor 11,25 (cfr. Lc 22,20), che allude chiaramente al contrasto negativo di Geremia (Ger 31,31-32). Paolo è ancora più preciso, però, in 2 Cor 3, dove contrappone esplicitamente la nuova e l’antica alleanza, evidenziando la grande inferiorità della vecchia rispetto alla gloria e alla permanenza della nuova. Un paragone simile è fatto anche dalla contrapposizione “figurata” tra Agar e Sara in Gal 4,21-31.
Analoghe conclusioni sono tratte dall’autore di Ebrei. Dopo aver constatato la superiorità della nuova alleanza in Eb 7,22, lo scrittore elabora il suo punto di vista attraverso un lungo commento a Ger 31,31-34, che forma una parentesi letteraria intorno a gran parte dell’argomentazione in Eb 8-10 (cfr. 8,9-12; 10,16-17). Non solo Gesù esercita un sacerdozio permanente, perfetto e celeste (Eb 7,23-8,6), ma l’alleanza di cui è mediatore “è stabilita su promesse migliori” (Eb 5,6b), spiegate in termini di “redenzione eterna” (Eb 9,12) e di “eredità eterna” (Eb 9,15) assicurate dal sangue di Cristo (Eb 9,11-10,18), poi descritto come “il sangue dell’alleanza eterna” (Eb 13,20). Come Paolo, quindi, il contrasto non è tra qualcosa di cattivo e qualcosa di buono, ma tra qualcosa di buono (ma temporale) e qualcosa di migliore (perché, a differenza dell’antica alleanza, la nuova è infrangibile ed eterna).
Se queste realtà della nuova alleanza sono per molti aspetti già presenti (cfr. Eb 9,11), è pur vero che il meglio deve ancora venire. Come le speranze di restaurazione di Israele non si sono esaurite nel rimpatrio dopo l’esilio babilonese, così non si sono pienamente realizzate nella prima venuta del loro Messia. Seppure in Gesù – il “seme” promesso di Abrahamo (Gal 3,16), il profeta anticipato secondo la linea di Mosè (At 3,22-23; cfr. Deut 18,15; Mt 17,5), il figlio perfetto del re Davide (Mt 22,41-46), e il mediatore della nuova alleanza (Eb 5:6) – le promesse dell’alleanza di Dio sia per Israele che per le nazioni sono giunte a compimento, l’espressione ultima dell’obiettivo creazionale e redentivo di Dio attende il compimento nella realtà escatologica della nuova creazione. Solo allora la speranza espressa nella formula classica dell’alleanza potrà essere sperimentata nel modo più completo (Ap 21,3), poiché “il trono di Dio e dell’Agnello sarà nella città, e i suoi servi lo serviranno… E regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22:3,5).

Tematiche: Teologia biblica

Manuel Morelli

Italiano, romagnolo, sposato con Jania e padre di Rebecca e Rachele. Dopo gli studi conseguiti in ingegneria a Bologna, studia teologia presso IFED Padova con i prof. Bolognesi, De Chirico e Simonnin; presso il London Seminary con i prof. James, Green, Simonnin e Williams e si specializza in ecclesiologia battista presso 9Marks con la chiesa Capitol Hill Baptist Church di Mark Dever, a Washington DC. Oggi è il pastore della chiesa evangelica battista “Solo Cristo” Ravenna – Italy.

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